Istintiva
e visionaria, ricca di spunti squisitamente introspettici, la
pittura di Vittorio Agostini, artista che vive a Villafranca,
cittadina in provincia di Verona, si muove attorno a
un’espressione creativa che, in tappe conseguenti e
successive, è andata maturando al ritmo di contrappunti
mimetici e sincritici di rara presa emotiva ed emozionale.
Agostini
ha riflettuto ampiamente - e tuttora continua a farlo, in
ossequio al suo spirito di ricercatore mai esausto - sul suo iter
immaginativo, traendo linfa ispirativa sia dalla tradizione che
dalle avanguardie concettuali, per dare vita a un proprio stile
e a un proprio modo di “fare arte”.
Tale
riflessione è approdata in una sorta di documento
programmatico, che egli stesso ha scritto e intitolato Manifesto
del Gestualvisiomemorismo ove, per sua stessa ammissione, si
può cogliere il processo mediante il quale «dal gesto appare
una visione della memoria».
Articolato
in poco più di una decina di punti, lo scritto vuole
evidentemente proporsi sia in chiave personale che in chiave
prospettica, vale a dire come esempio - e non solo
esplicitazione - di una manifestazione d’arte alla quale ci si
possa riferire e alla quale potrebbero ispirarsi altri pittori,
grafici o scultori che dovessero condividerne il contenuto.
All’
inizio del manifesto due sono i termini-guida su cui Agostini si
sofferma: segni e istinto, elementi che, in un
discorso maieutico-pittorico formano l’unità primigenia del
comporre.
In
particolare, Vittorio dice di privilegiare la “spontaneità”,
la non programmaticità affidandosi all’istintualità
artistica, senza alcun condizionamento: ed è per questo che
ritiene di non dover eseguire alcun bozzetto preparatorio.
La
creazione, proseguiamo nella lettura, è poi un’operazione che
afferisce profondamente con il processo mnemonico, vale a dire
con il ricordo di esperienze che fanno parte del nostro passato,
del “già vissuto e sperimentato”, e che ormai lontane
possono essere in un certo senso rielaborate attraverso
il gesto del pittore.
Di
qui l’esigenza, per Agostini, di sviluppare l’opera
attraverso un processo “in togliere” (“una volta
individuato un possibile soggetto - scrive al punto quattro -
occorre lavorare in funzione di quello ed allo sviluppo di
quell’idea, eliminando eventuali segni non utili al fine del
risultato finale").
Casualità.
freschezza, gestualità sono poi parole ricorrenti nel prosieguo
del testo e che sono senza dubbio fondamentali per una forma
pittorica complessa e personale come quella prospettata da
questo eclettico artista.
Interrogandosi
sulle radici e sugli sviluppi del proprio lavoro egli riesce ad
essere, in questo modo, attuale e contemporaneo, mai lezioso o
banale o, peggio ancora, affabulatorio.
Al
contrario, Agostini rivela una notevole capacità di combinare,
nella medesima opera, aspetti estetici e ragioni poetiche,
messaggi e situazioni, frammenti e frames mentali che nei
suoi oli (pigmenti che, dice il nostro autore, “permettono di
modificare il soggetto fino a portarlo al risultato finale”)
procedono per assonanze e concordanze impreviste ed inattese,
talvolta persino insolite.
Cremona, 28 marzo 2002
Dott.
Simone Fappanni - critico d’arte
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